Non ci sono garanzie che la pandemia ci abbia reso o ci renderà migliori. Di certo, però, ci ha resi affamati di speranza, dopo il lungo digiuno collettivo. Ancor più in questo frammento tanto ferito di Italia. Il frastuono delle campane dell’Abbazia di Casoretto – come viene chiamata la chiesa della Misericordia di Milano – è durato a lungo. Troppo spesso, nelle ultime settimane, i loro rintocchi sono stati associati all’estremo saluto per le vittime del Covid. Stavolta, invece, si sono mescolati alla musica che fluiva dalle finestre aperte per celebrare la libertà di Silvia Romano.Una cooperante: professione che, per lei come per tanti, è anche una vocazione, laicamente intesa. Chi lo fa con serietà sa che, come tutte le scelte autentiche, implica sacrifici, rischi. Il rilascio delle 24enne, per 536 giorni nella mani dei carcerieri, dunque, è diventato per la città e il Paese, dentro e fuori i social, il segno di una rinascita possibile. Per tutti. Sono lontane, lontanissime le tristi polemiche scatenate da beceri individui e i soliti ignoranti leoni da tastiera , che, diciotto mesi fa, avevano accompagnato la notizia del rapimento. Quando tanti – non solo gli odiatori seriali da testiera ma perfino illustri commentatori – avevano dipinto la cooperante di Africa Miele come una sprovveduta a caccia di emozioni forti e dell’uomo nero. Ovvio che vedendo quello che fanno le loro mamme, questi incapaci di attraversare un quartiere, non possono immaginare altro. O, nel migliore di casi, complice il fatto di essere una giovane e bella donna, una “Biancaneve” finita in un bosco troppo intricato, la cui ingenuità sarebbe costata cara ai contribuenti. Non era la prima volta che accadeva. Il copione velenoso, purtroppo, si ripete puntualmente quando un connazionale viene sequestrato in un Paese “difficile”. Dove si è recato per una ragione spiazzante: dare una mano, seminare briciole, fare da vedetta per la carità, costruire isole – piccole, piccolissime rispetto agli enormi problemi mondiali – di cambiamento possibile. Questo fanno gli oltre 15mila italiani impegnati a vario titolo in progetti di cooperazione, servizio civile, volontariato, missione, nel Sud del mondo. Più donne che uomini.
Silvia Romano era partita da Milano nel settembre 2018 per la «sua» Africa. E’ stata rapita due mesi dopo, il 20 novembre del 2018, da una milizia armata di fucili e machete. Stava lavorando a un progetto educativo per l’infanzia con l’organizzazione non governativa Africa Milele, piccola onlus di Fano, nelle Marche, in una zona dove in precedenza erano stati denunciati attacchi contro stranieri. L’associazione fanese è stata creata nel settembre 2012 da due coniugi che avevano trascorso nella zona il viaggio di nozze e si occupa di progetti di sostegno all’infanzia. Africa Milele in lingua swahili significa «Africa per Sempre» e Silvia si occupava di bambini orfani di entrambi i genitori con attività in strada. Aveva creato nel villaggio una «Ludoteca nella Savana» in attesa che venisse finanziato il progetto cui stava lavorando la sua Ong con raccolte fondi, creare un orfanotrofio in muratura per dare un’istruzione agli orfani. Aveva già lavorato come volontaria sempre in Kenya con Orphan’sdream. Il giorno della sua partenza aveva scritto “Si sopravvive di ciò che si riceve ma si vive di ciò che si dona", allegando una foto con alcuni bimbi kenyani.
Silvia Romano era ed è una cooperante: professione che comporta preparazione, studio delle lingue, studio delle tradizioni e dei costumi del luogo, una valutazione psicologica di un anno. Chi lo fa con serietà sa che, come tutte le scelte autentiche, implica sacrifici, rischi, errori. Sa anche, però, che non farlo equivarrebbe “a guardare la vita dal balcone”, per parafrasare papa Francesco. Certo che non è necessario andare all’estero per fare del bene. Tanti, però – per fortuna, visto il contributo importante – sentono questa disposizione. E hanno il coraggio di seguirla. Non come colpo di testa. Non ci si improvvisa cooperanti né volontari e nemmeno missionari. Per essere utili agli altri – ancor più in un contesto geograficamente e culturalmente lontano – è necessaria una solida formazione. Per questo Silvia è partita per il Kenya con una laurea specifica e una tesi sulla tratta. Aveva poca esperienza, obietterà qualcuno. Vero, come tutti coloro che si affacciano sul mondo del lavoro e si mettono in gioco. Con cuore e testa. Lo scorso 5 ottobre Eva Pastorelli, responsabile Focsiv – la federazione delle organizzazioni cristiane di volontariato - alla premiazione del Volontario dell’anno, ha letto questo messaggio alla collega sequestrata: “Non siamo delle “ingenue, un po’ folli, illuse di poter cambiare il mondo”. Siamo donne generose e tenaci, consapevoli che i piccoli gesti possono fare la differenza nel costruire unmondo migliore, per tutte e tutti. Siamo donne che hanno preso una posizione. Abbiamo scelto”. Per questo motivo sarà una gioia accogliere in Abruzzo Silvia Romano e organizzare un incontro con i giovani, con i volontari abruzzesi e con la Focsiv, non appena le regole lo consentiranno. Una data possibile è la seconda metà di luglio.
Leo Nodari