Sembrano passati anni ma era solo il 24 aprile quando, scrivendo su Certastampa (leggi QUI mi chiedevo:
“Ma l’Italia è ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro o piuttosto una repubblica presidenziale fondata sulla salute? La domanda sorge ormai spontanea dal momento che la violazione della legalità costituzionale è divenuta una prassi per chi, agendo in assoluta carenza di potere con l’uso (abuso) del DPCM ha esautorato di fatto il parlamento di ogni prerogativa”
Una Repubblica parlamentare senza parlamento?
Certo è che, con il massiccio ricorso ai DPCM si è creata di fatto e in palese violazione della Costituzione, una figura mostruosa di “legislatore monocratico”, laddove i DPCM non si sono limitati alla semplice attuazione ed esecuzione di norme di legge, ma hanno finito per incidere con efficacia innovativa e quindi normativa, sull’esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini, nonostante la riserva assoluta di legge vigente in materia.
Ma come può un semplice atto amministrativo qual è un DPCM aver compresso o addirittura negato l’esercizio dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione?
È utile ricordare che la fonte di tale anomalo potere, che non rinviene precedenti nella storia repubblicana (e neppure durante il ventennio?), trova il suo apparente (ma non valido) fondamento in alcuni decreti legge, il primo dei quali datato 23 febbraio 2020, provvedimento definito dai Costituzionalisti come una sorta di “delega in bianco” e, come tale, disposta in palese violazione della legalità costituzionale:
….. art. 1: Allo scopo di evitare il diffondersi del COVID 19 …. le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica….
Una norma (a dir poco) vaga e generica che, non avendo circoscritto in maniera dettagliata le attribuzioni delegate al Presidente del Consiglio, non avrebbe certo potuto costituire un valido fondamento per l’adozione dei DPCM dell’8 e 9 marzo, provvedimenti con i quali l’avvocato del popolo ha illegittimamente sottoposto l’intera nazione ad una severa condizione di limitazione della libertà personale, paragonabile al regime di detenzione domiciliare. L’intero impianto della Costituzione, fondata sul principio della separazione dei poteri, è stato così stravolto.
Il parlamento, anche a causa dell’ignavia della maggioranza dei suoi componenti e la totale assenza di una vera opposizione, è ormai completamente esautorato, salvo esser poi chiamato a svolgere una funzione di fedele e obbediente “ratifica” delle pur gravi violazioni della legalità costituzionale, così come è accaduto con la conversione in legge del decreto del 25 marzo 2020 che, in un precedente articolo pubblicato su Certastampa ho definito “decreto sanatoria” (leggi QUI), ammesso (per assurdo) si possa ritenere giuridicamente concepibile una “sanatoria” di provvedimenti gravemente lesivi dei diritti fondamentali.
Con ciò non si è mai voluta negare la necessità di agire con tempestività per bloccare la diffusione del “chinavirus”, ma solo ricordare che la Costituzione, per fronteggiare situazioni di straordinaria necessità e urgenza prevede (art. 77) la possibilità di ricorso da parte del Governo al decreto legge, un provvedimento provvisorio avente forza di legge che, ove non convertito dal parlamento, perde efficacia.
Tuttavia, con la scelta del DPCM il Presidente del Consiglio ha inaugurato una pericolosa prassi che, purtroppo, rischia di stravolgere e minare le fondamenta della nostra Costituzione.
Ma l’emergenza, o meglio sarebbe dire la situazione di straordinaria necessità e urgenza, è stata (quanto meno) aggravata dalle decisioni assunte dal Governo che certo non ha investito in maniera adeguata sulla sanità, sperperando danaro con assurdi e demenziali “bonus” monopattini, banchi a rotelle ed altre sciocchezze, senza organizzare e garantire un efficiente servizio nazionale di assistenza sanitaria domiciliare, ancora oggi di fatto inesistente e inadeguato, soluzione che avrebbe evitato numerosi ed inutili ricoveri e garantito tempestive cure a chi ora è abbandonato a se stesso.
La recente denuncia dell’avv. Domenico Giordano su facebook rende noti fatti che ben dovrebbero ricevere un approfondimento da parte della Procura della Repubblica competente, così come il caso di chi è stato lasciato morire sulla soglia del Pronto Soccorso, senza ricevere le necessarie ed urgenti cure pur invocate.
Non si muore solo di covid, ma soprattutto di malasanità e burocrazia.
Ma, l’aver omesso la prestazione di urgenti e obbligatorie cure mediche, come ho avuto già occasione di sottolineare (leggi QUI) potrebbe persino condurre a configurare a responsabilità per il grave delitto di omicidio volontario, posto che la legge penale (art. 40 cpv del codice Rocco) non è stata certo abrogata o risulta possa mai esser derogata, sulla base di disposizioni dettate nelle forme di un DPCM o, addirittura, di circolari ministeriali, emanate peraltro in palese violazione del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione.
Dunque, un’emergenza sanitaria che è stata affrontata dal Governo e dal Ministro della salute in evidente violazione di tale fondamentale diritto, da un lato finendo per negare le cure a cittadini affetti da patologie ben più gravi e ciò a causa della paralisi e congestione delle strutture ospedaliere; dall’altro ostacolando all’inizio dell’epidemia, l’espletamento di autopsie che avrebbero consentito d’individuare cure più efficaci e adeguate, un’assurda disposizione data sotto forma di circolare del Ministero della Sanità che ha contribuito ad aggravare la condizione di alcuni pazienti.
Non c’è allora da stupirsi se l’adozione dell’ultimo di DCMP di Conte del 4 novembre, si ponga in contrasto persino con il decreto legge del 25 marzo 2020 adottato dallo stesso Governo, nella parte in cui ha ritenuto di poter validamente “delegare” al Ministro della salute l’adozione di “ulteriori misure di contenimento del contagio”, chiamandolo a individuare le Regioni che si collocano in uno scenario di più elevato rischio.
La norma del DPCM, in effetti, si pone in contrasto con l’art. 2 del decreto legge del 25 marzo 2020 n. 19 che, per l’”attuazione delle misure di contenimento” ha delegato in maniera esclusiva il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiamato ad adottarle su proposta del Ministro della Salute.
La riserva di legge è stata dunque nuovamente violata dal prof. Giuseppe Conte, il quale ha ritenuto di poter validamente “delegare” al ministro della salute, un potere a lui conferito in via straordinaria tramite il citato decreto legge?
È utile sottolineare il grave rischio che ordinanze ministeriale destinate a condizionare la vita e le libertà fondamentali di oltre 60 milioni di cittadini siano di fatto assunte dal famigerato “Comitato Tecnico Scientifico” che finora non ne ha azzeccata una.
“DELEGATUS NON POTEST DELEGARI”, o meglio non potrebbe.
L’Italia è ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro o piuttosto una repubblica presidenziale fondata sulla salute?
Vincenzo di Nanna