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di ANTONIO D'AMORE "Centodiciottoooooo, chiamate un po' il centodiciotto". Il grido di Kissy scandisce, nella violenta imbecillità dei social, il tempo di una città che, nell'anno del terremoto e del maltempo, strappa centinaia di migliaia di like e condivisioni per le colorite esternazioni di una persona in difficoltà. Attenzione, però, Kissy (che poi, ovviamente, non è il vero nome, ma è così che il volgo dei social la conosce), non è solo il gioco violento e incivile, quanto antico, del mettere alla berlina chi non si può difendere, ma è la metafora stessa di una città che, nel volgere di un paio di anni, ha sovvertito le regole del vivere civile. Ho difficoltà, confesso, nel decidere se mi sia più sgradito il trattamento che la rete riserva a Kissy, o quello che la politica teramana riserva a noi. Perché, in fondo, sono la stessa cosa. Da una parte, c'è una indefinibile popolazione di youtuber che si divertono a filmare la povera Kissy, provocandone le reazioni, per il solo gusto di strappare qualche condivisione in più; dall'altra, c'è un'indefinibile popolazione politica, che si diverte a mettere in difficoltà Brucchi, per il solo gusto di strappare qualche poltrona in più. Non intuiscono, i cacciatori di kissate e quelli delle poltrone, che sono parte anch'essi della farsa, anzi: che sono i protagonisti stessi della tragedia comica che sta andando in scena. Così, mentre addirittura l'idolo dei palazzetti, Fedez, dedica un frammento del suo spazio instagram a "Kissy da Teramo", c'è un frammento della nostra storia collettiva che deve registrare l'ennesimo consiglio comunale paradossale, nel quale una maggioranza che non c'è più cerca di arginare gli attacchi, gli ennesimi, portati da porzioni impazzite di quella stessa maggioranza. Non intuendo, ed è una colpa, che queste "prese di posizione" da consiglieri folgorati sulla via dell'allargamento della Giunta, pesa nella vicenda politica teramana quanto un video di Kissy nelle vite di ognuno di noi. E' un attimo di tristezza, l'ammissione pubblica della perduta soglia delle civiltà. Perché se avessero (e forse avessimo) ancora un rigurgito di civiltà, quella della politica vera, "alta", dovrebbero (e dovremmo) avere il coraggio di ammettere che questa esperienza politica non finisce adesso. Non finisce perché Falasca e Caccioni hanno scoperto, all'improvviso, che contano più le poltrone che le idee. Loro, eletti nelle fila della lista di Paolo Gatti, improvvisamente scoprono che la politica teramana è un gioco di poltrone. Di cortesia, potrebbero Falasca e Caccioni ricordare a me e alla città, per la quale sembra  che vogliano spendersi, dov'erano e cosa stavano facendo esattamente mentre il loro leader politico indicava la Lucantoni all'assessorato alla Cultura? E quando quello stesso capo sacrificava l'ottimo Romanelli? E quando si impegnava nel considerare intoccabile Rudy? Dov'erano Falasca e Caccioni, quando la maggioranza si sfaldava e se ne andavano prima i dalmati (rinunciando all'assessorato di Di Giovangiacomo), poi i morriani (resistendo alle proposte assessorili fatte allo stesso Morra)? Dov'erano Falasca e Caccioni, quando l'ennesimo video su Brukky veniva idealmente postato sull'instagram triste della politica teramana? Questa esperienza politica non finirà perché Brucchi cadrà, ma Brucchi cadrà perché questa esperienza politica è finita molto tempo fa. Prima ancora che Brucchi diventasse sindaco. La crisi che oggi corrode la maggioranza teramana e che è, ed è questa la vera colpa, il motivo stesso, profondo, dell'appassire lento ma inesorabile di questa città, è cominciata quando la Giunta Chiodi del fu "Modello Teramo" non è stata in grado di arginare Paolo Gatti. Perché quello era, nelle intenzioni di quella esperienza politica, il momento in cui Teramo voleva (e forse poteva) cercare di scrollarsi di dosso il retaggio arcaico della Dc tancredo-gasparo-aiardo-forlaniana, quella che appoggiava il futuro sui voti, per tentare una strada diversa. Quella dei progetti, quella delle idee. Quella della "visione" di un futuro possibile. E' vero, era tanta teoria, ma sono le teorie quelle che reggono i cambiamenti, sono le tesi da dimostrare, sono le idee da realizzare. In quella congerie di idee, anche se solo per un attimo, Teramo si sentì diversa. Quasi tutta, perché mentre c'era chi guardava al futuro, c'era chi contava i voti e creava un multi-level elettorale, raggruppando frotte di sudditi, usi ad obbedir tacendo, pronti anche alla candidatura, col solo sogno di compiacere il capo. Così, quando il "modello Teramo" si è infranto per sempre sulla porta di una stanza di un hotel al Pantheon, Teramo ha scoperto di  essere la città nella quale si era strutturato un gioco di compromessi e di piccoli/grandi privilegi, che ha partorito una classe politica del tutto incapace di governare il momento storico. Che era un momento di grandi cambiamenti. Provate a pensare alla Tercas, all'assordante silenzio con il quale questa classe politica ha gestito la "perdita" della Banca più importante del territorio, con una ricaduta negativa drammatica su tutto l'indotto. Brucchi s'è tolto la fascia quando ha accettato un brutto albero di Natale, invece che pretendere che la Tercas mantenesse gli appalti coi fornitori locali. Brucchi s'è tolto la fascia, quando non ha intuito che il ballottaggio su Manola era un referendum su di lui, e l'aveva perso. Brucchi s'è tolto la fascia, quando ha permesso a Paolo Gatti, in virtù di chissà quale promessa di candidatura, di imporre assessori inadeguati. Brucchi s'è tolto la fascia, quando ha aggiunto la nona poltrona in giunta, per far accomodare chi sbraitava perché la giunta ne avesse solo sei Brucchi s'è tolto la fascia ogni volta che ha chiuso una scuola "per terremoto", per poi riaprirla il giorno dopo esattamente com'era prima di chiuderla Brucchi s'è tolto la fascia, anche quando non ha preteso, da chi si presentava come salvatore dello sport cittadino, le pubbliche scuse per quella serie B vinta sul campo e perduta in un bar ligure. Brucchi s'è tolto la fascia, quando ha anteposto il mantenimento di quella fascia alla dignità politica della città. Brucchi s'è tolto la fascia, quando non s'è accorto che sulle mattonelle arrivate per il nuovo Corso c'era scritto "made in Cina". Brucchi s'è tolto la fascia, quando ha accettato il compromesso con sé stesso di vivere in una città diversa, molto diversa da quella che aveva sognato. Sembra che stanotte, in più occasioni, il Sindaco di Teramo abbia pensato di firmare la lettera di dimissioni, "per non essere sfiduciato in Consiglio", avrebbe confidato. No. Non così. Faccia il Sindaco, e lo faccia sul serio: se per una sfiducia dovrà cadere, cada in Consiglio, ma prima di cadere spieghi, racconti, riveli, confessi quello che è stata questa esperienza. Faccia nomi. Assegni le colpe. E si assuma le sue. Così, almeno nell'ultimo giorno, si sarà fatta politica. Altrimenti, sarà solo un altro di video di Brukky da mettere in rete. Nella città della grande tristezza. "Centodiciottooooo"