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«Da tempo assistiamo ad una discussione insistita sulla stampa che fa apparire la scelta di un ospedale unico in Provincia di Teramo come definitiva con l’unica variabile ancora da decidere è la localizzazione della nuova struttura. Sembra che questo sia l’unico, ultimo problema della Sanità teramana. La soluzione esaustiva che garantirà la tutela della salute dei cittadini oggi e nel futuro». E' quanto dichiarato oggi nel corso di una conferenza stampa dal segretario generale Giovanni Timoteo, e dai segretari provinciali Pancrazio Cordone (Fp), Emanuela Loretone (Filcams) e Mirco D'Ignazio (Fiom). «Vorremmo sapere quali analisi dei bisogni sanitari sono state registrate? Quale ascolto del territorio? Quali criteri?  Chi decide? Dove? Quando? Con la partecipazione di chi? Eppure parliamo della riorganizzazione del servizio sanitario che per i prossimi decenni dovrà garantire la salute dei cittadini. Noi riteniamo che questo modo di procedere non sia accettabile e non sia rispettoso della comunità teramana. Per questo invitiamo la Regione e la ASL a un confronto diffuso nel territorio con istituzioni, operatori del settore, associazioni per definire, con spazi, modi e tempi ben codificati e condivisi, un progetto di riordino che con il coinvolgimento e la partecipazione di tutta la comunità provinciale  possa rispondere concretamente alle esigenze di prevenzione,cura,  tutela della salute di tutta la popolazione. Per quanto ci riguarda l’abbiamo già detto in precedenza, noi siamo convinti che la buona sanità non è fatta di muri nuovi ma di buone pratiche e da un’organizzazione che metta al centro i bisogni dei cittadini: l’unico risparmio in sanità è quello che fornisce una migliore qualità della vita ai cittadini. Se all’interno di questa impostazione si convenisse che l’ospedale unico è un punto di equilibrio, efficienza, eccellenza ci confronteremo anche noi in modo oggettivo. Ma una cosa la diciamo da subito con nettezza: non siamo assolutamente d’accordo a far interventi nella sanità con il project financing. Una formula con la quale si permette l’ingresso del privato nella conduzione delle strutture sanitarie,  con canoni pagati dal pubblico per 25/30 anni e/o con la concessione allo stesso di tutti i servizi collaterali al servizio sanitario come ristorazione, pulizia, manutenzione. Col risultato che il privato ha profitti certi e garantiti e la collettività si farà carico di un debito che nei prossimi decenni peserà sulla spesa sanitaria delle future generazioni condizionando la tutela della salute delle stesse. Non è una teoria. Ma una realtà acclarata dalle esperienze già fatte in Italia (Piemonte, Liguria, Veneto, Friuli) e che hanno portato la corte dei conti Veneta a censurare severamente questa formula. Per questo, soprattutto in un territorio che già in passato, nella sanità, ha avuto una presenza del privato marginale  riteniamo che questa esperienza sia da evitare». GUARDA IL VIDEO