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Il giudice del lavoro di Teramo, Daniela Matalucci, ha disposto il ripristino dell'erogazione della pensione che l'Inps, in base alla legge Fornero, aveva revocato a migliaia di detenuti e condannati (15 mila secondo dati Inps) per reati ostativi, quelli cioè che incriminano atti che rappresentano solo il presupposto della concreta aggressione al bene giuridico, come ad esempio la detenzione di armi. Lo rende noto l'avvocato aquilano Fabio Cassisa, che aveva fatto ricorso chiedendo l’annullamento del provvedimento di revoca della pensione di invalidità civile disposta dall’Istituto previdenziale nei confronti di un suo assistito, L.S., soggetto condannato per gravi reati ostativi (tra cui quello previsto dall’art. 416 bis del Codice penale, cioè associazione di tipo mafioso), attualmente sottoposto a sospensione della pena per gravi motivi di salute. La sentenza è stata emessa e pubblicata nel mese di ottobre 2017. La revoca della pensione - spiega Cassisa in una nota - era stata disposta in base all’art. 2, commi 58/63 L. n. 92/2012 (meglio nota come legge Fornero), la quale prevede detta sanzione a carico di soggetti condannati per alcuni dei reati cosiddetti ostativi (quelli più gravi, ritenuti di maggior allarme sociale, quale l’associazione mafiosa) fino al termine del periodo di esecuzione della pena inflitta. Con questa sentenza il giudice del lavoro di Teramo ha giustamente annullato il provvedimento di revoca emesso dall’Inps, con conseguente ordine di ripristino della prestazione assistenziale a favore del ricorrente, condannando l’ente previdenziale al versamento degli arretrati dovuti dalla revoca in poi. Si tratta del primo provvedimento giudiziario in Italia che dispone in tal senso - continua l'avvocato - L'Inps, in base alla suddetta normativa e su disposizione del Ministero della Giustizia, ha cominciato a revocare le prestazioni assistenziali solo a partire dal mese di maggio del 2017, nonostante la norma sia in vigore dal 2012. Il ricorso era fondato su due distinti motivi di doglianza, entrambi di rilievo costituzionale. Con il primo motivo l'avvocato del ricorrente ha dedotto come la normativa in questione non possa ritenersi applicabile nei confronti di soggetti non detenuti (perché in sospensione della pena per motivi di salute - come il proprio assistito -, o anche perché sottoposti a misure alternative alla detenzione, quali la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova ai servizi sociali), ancorché condannati in via definitiva per i gravi reati previsti dalla normativa in questione. Ciò in quanto diversamente si incorrerebbe nella violazione dell’art. 38 della Costituzione., che prevede come principio assoluto che ogni cittadino inabile al lavoro e provvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. Con il secondo motivo l'avvocato Cassise, ritenendo che la misura della revoca delle prestazioni assistenziali costituisca una sanziona amministrativa accessoria alla condanna penale e che, dunque, detta sanzione abbia natura penale, ha eccepito come la stessa non possa trovare applicazione retroattiva, in quanto diversamente detta normativa finirebbe col violare l’art. 25 della Costituzione, il quale dispone l’irretroattività della legge in ambito penale e, dunque, anche delle sanzioni accessorie a condanna penale (nel caso di specie, il reato era stato commesso dal ricorrente prima dell’entrata in vigore della norma). La pronuncia assume grande rilevanza giuridica - commenta Cassise - anche in considerazione del fatto che con essa il giudice del lavoro, sulla base dei motivi di ricorso, pur non rimettendo la questione alla Corte Costituzionale, come richiesto dallo stesso legale, per mancanza di specifica rilevanza nel caso sottoposto alla sua attenzione, ha dato una lettura costituzionalmente orientata della norma e nelle motivazioni della sentenza ha individuato i criteri ermeneutici a sostegno della natura penale della sanzione accessoria, assumendo come non possa legittimarsi alcuna applicazione retroattiva della sanzione accessoria della revoca della prestazione assistenziale, pena l’illegittimità costituzionale del disposto normativo. Come detto, si tratta della prima pronuncia in ambito nazionale che abbia disposto il ripristino del diritto pensionistico in favore di un soggetto condannato per reati ostativi a seguito della revoca della prestazione in base alla legge Fornero. La pronuncia è destinata ad avere eco e risalto nazionale - continua Cassise - anche per la grande rilevanza economica della questione, posto che, secondo dati Inps, in ambito nazionale le prestazioni assistenziali revocate in base alla normativa sopra richiamata sarebbero circa 15.000. In considerazione della novità della questione giuridica posta alla sua attenzione, il giudicante ha, infine, disposto per la metà la compensazione delle spese di lite, condannando per la seconda metà l’Inps alla refusione delle spese legali sostenute dal ricorrente. La pronuncia, allo stato non impugnata dall’Inps, anche se indirettamente ha ribadito principi costituzionali cardine dell’ordinamento giuridico italiano, evidentemente ignorati da chi ha promulgato la legge in esame - dice l'avvocato - Il primo principio giuridico da evidenziare attiene il diritto di ogni cittadino (art. 3 Costituzione) a vedersi corrispondere la pensione di vecchiaia, di invalidità o le altre forme assistenziali a prescindere dal fatto che abbia commesso gravi reati, in quanto il principio costituzionale in questione mira a garantire a tutti il diritto ad un sussidio economico necessario per una dignitosa sopravvivenza (art. 38 Costituzione). Il secondo principio, anche questo di rango costituzionale, prevede che nessuno possa essere punito e colpito da una sanzione avente natura penale, ancorché accessoria, per un fatto commesso prima dell’entrata in vigore della norma che dispone la sanzione (art. 25 Costituzione).