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carcerecastrognoAveva solo 36 anni il detenuto macedone, trovato impiccato nella sua cella a Castrogno. Inutili tutti i tentativi di soccorso. Jeton Bislimi, il 36 enne macedone autore
del tentato femminicidio di Capestrano. L'uomo, lo scorso 14 novembre, aveva sferrato dieci coltellate alla moglie in diverse parti del corpo. Poi tentò di farla finita, ingenerando un quantitativo imprecisato di farmaci. Arrestato e trasferito in cella dal giorno successivo, ha reiterato l'estremo gesto. Sulle circostanze sono in corso gli
accertamenti della Procura della Repubblica di TERAMO e della polizia penitenziaria che ha fatto la scoperta. Al 36 enne, lo scorso dicembre, il Tribunale per i minorenni dell'Aquila aveva sospeso la potestà genitoriale.

Ancora un suicidio in un carcere della Nazione, nella Casa circondariale di Castrogno a Teramo, e tornano ad alimentarsi le polemiche per il mancato recepimento dei richiami del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”, denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “L’uomo suicida, un macedone di 37 anni, si è impiccato alle inferriate del bagno della cella ed avrebbe lasciato un biglietto per la famiglia. È successo ore 13.00 circa nella Sezione Protetta dove vige la custodia aperta. Era in carcere per tentato omicidio della moglie e non aveva dato alcun segnale di instabilità o preoccupazione. Si tenga conto che in quel momento c’era in servizio un solo Agente per 100 detenuti… Certo è che decidere di uccidersi è una scelta che ha sconvolto tutti, operatori ed altri ristretti”.
Per Capece, “chiunque, ma soprattutto chi ha ruoli di responsabilità politica ed istituzionale, dovrebbe andare in carcere a Teramo a vedere come lavorano i poliziotti penitenziari, orgoglio non solo del SAPPE e di tutto il Corpo ma dell’intera Nazione. L’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono: è il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. E’ fondamentale dare corso a riforme davvero strutturali nel sistema penitenziario e dell’esecuzione della pena nazionale, a cominciare dall’espulsione dei detenuti stranieri, specie quelli – e sono sempre di più – che, ristretti in carceri italiani, si rendono protagonisti di eventi critici e di violenza durante la detenzione”. “A tutto questo si aggiunga la gravissima carenza di poliziotti penitenziari”. “Come si fa a lavorare così?”, conclude, amareggiato, Capece.