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A_LO_PARLARE_AGI_MESURA_fotostampa.jpegÈ una storia antica, scritta dalla faida che vide, alla fine del Trecento, due fazioni teramane in lotta, quella scolpita nella pietra a monito delle future generazioni.

“A lo parlare agi mesura”, un monito che i teramani dei secoli successivi, cercarono di esorcizzare, ribattezzandola “Lapide delle malelingue”, legandone il significato all’uso accorto di ogni parola, regalando inconsapevolmente ai secoli futuri un messaggio di prudenza verbale che oggi, nell’epoca dei social e degli haters, si veste di nuovi significati.

In realtà, come raccontano gli storici della teramanità, quella lapide, che per secoli si offrì allo sguardo di chi percorreva Porta Romana, nasceva per essere il ricordo di un momento storico drammatico, quello del massacro di tredici esponenti della fazione dei Melatino, in guerra da sempre con quella degli Antonellisti, che avevano chiesto udienza al potente duca di Atri e signore di Teramo, Giosia D’Acquaviva ma, non essendo ricevuti, l’avevano pubblicamente minacciato.
Il duca, in realtà, era nel suo palazzo a San Flaviano (oggi Giulianova), a colloquio con la fazione rivale, proprio per cercare di mettere fine alla faida e, avvertito delle minacce, decise di dare un segnale della sua potenza, facendo impiccare tutta la delegazione dei Melatino, per poi costringere la delegazione rivale a tornare in città passando proprio davanti a quei tredici corpi appesi.
Un messaggio che gli Antonellisti compresero benissimo, tanto che fu proprio Carmine, uno dei loro capi, a far scolpire in pietra due teste di uomini di profilo, con le lingue trafitte da un compasso e il motto: "A lo parlare agi mesura", che voleva dire: "Stai attento a parlare".
Poi aveva fatto murare quella pietra nella facciata della sua casa, sulla strada fra San Domenico e Porta Romana.
Una lapide che forse voleva essere un avvertimento per la fazione rivale, ma che ben presto divenne, nel popolo teramano, un monito universale, l’eterno monumento all’uso attento della parola, all’accortezza del parlare.

Un monito al quale avrebbero fatto eco, secoli dopo, le note di quella “maledette malelingue”, indimenticabile canzone del teramano Ivan Graziani, che cristallizza l’antica pratica provinciale allo “sparlare”, o meglio, al non aver “mesura” ne “lo parlare”.

Grazie all’arte orafa di Giuliano Montaldi, maestro dei metalli preziosi e amante della sua terra, alla quale ha dedicato la splendida collezione “I love Abruzzo”, trasformando in ciondoli, anelli, orecchini e pendenti, le opere d’arte e le ricchezze naturali, ma anche gli oggetti identitari della nostra cultura, dal guerriero di Capestrano al lago di Scanno, dalla presentosa alle ferratelle, quel monito è oggi un gioiello, che sarà ufficialmente presentato alla città di Teramo

GIOVEDI’ 18 APRILE

alle 11.30
nella corte interna della Biblioteca Delfico


Interverranno


Gianguido D’Alberto - Sindaco di Teramo

Stefania Pezzopane - già Senatrice della Repubblica

Elso Simone Serpentini - storico

Ernesto Di Renzo – antropologo

modera

Antonio D’Amore - giornalista