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Lo spettro del lampo di raggi gamma più intenso di sempre, rilevato nel 2022, conteneva una caratteristica mai osservata in cinquant’anni di ricerche: una riga di emissione, che si forma quando un processo fisico emette radiazione ad una specifica energia (o lunghezza d’onda). A identificarla per la prima volta in un lampo di raggi gamma (GRB o gamma ray burst, in inglese), dopo ulteriori ed accurate analisi dei dati, è stato un giovane team internazionale che ha coinvolto i tre Istituti italiani INAF, GSSI e INFN. La scoperta, che segna un importante passo avanti nella ricerca e nella comprensione dei GRB, è stata pubblicata oggi sulla rivista Science. 

Lo studio ruota attorno al GRB 221009A, il lampo gamma più brillante mai osservato (anche conosciuto come BOAT o brightest of all time), captato il 9 ottobre 2022. «Pochi minuti dopo l’inizio del GRB, il satellite Fermi della NASA ha registrato una caratteristica inusuale che ha catturato la nostra attenzione», spiega Maria Edvige Ravasio, ricercatrice all’Università Radboud nei Paesi Bassi e associata INAF, prima firmataria dello studio. Si tratta di un peculiare picco di energia che ha raggiunto i 12 MeV (milioni di elettronvolt; per confronto, l'energia della luce visibile è solo 2-3 elettronvolt): «Non mi aspettavo di trovare una riga di emissione in questi spettri, e quando mi sono resa conto che quello che stavo vedendo era reale e non un prodotto di qualche errore nell'analisi, è stato emozionante: il nostro studio mostra che questo picco è la prima riga di emissione che osserviamo in cinquant'anni di studi dei GRB». 

I lampi di raggi gamma sono infatti tra gli eventi più energetici dell’Universo, capaci di rilasciare in pochi secondi più energia di quanta possa emetterne il Sole nella sua intera vita. I raggi gamma, che sono una forma di luce ad altissima frequenza, nascono all’interno di getti di plasma lanciati nello spazio a una velocità prossima a quella della luce, e vengono emessi da stelle di neutroni o da buchi neri appena formati. Eventi come il GRB 221009A sono possibili quando il nucleo di una stella massiccia esaurisce il suo carburante, collassa e forma un buco nero che lancia due getti in direzioni opposte. I raggi gamma sono rilevabili soltanto quando uno dei getti punta direttamente verso la Terra. Nonostante la scoperta dei GRB sia stata fatta cinquant’anni fa, il loro esatto meccanismo e la loro composizione sono ancora un mistero. 

«Alcuni studi pubblicati una ventina di anni fa sostenevano di aver trovato delle righe di emissione nello spettro di alcuni lampi di raggi gamma, ma sono stati presto smentiti. Da allora, nessuno prima di noi ha mai più trovato indizi di righe di emissione nei GRB» spiega Om Sharan Salafia, anche lui ricercatore dell’INAF di Milano e coautore dell’articolo scientifico. «Il nostro è dunque il primo studio a trovare una simile riga di emissione con alta significatività: le probabilità che questa caratteristica sia solo una fluttuazione del rumore sono meno di una su mezzo miliardo». 

La scoperta rappresenta quindi un’opportunità per capire le dinamiche e la composizione dei getti di GRB, mai compresi fino in fondo. Sono tre le possibili spiegazioni proposte dal gruppo di ricerca, «ma la più probabile è l’annichilimento di materia e antimateria all’interno del getto del GRB», spiega Gor Oganesyan, ricercatore al Gran Sasso Science Institute e ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, anche lui coautore dello studio. «Quando un elettrone e un positrone si scontrano, si annullano e producono una coppia di raggi gamma con un’energia di 0,511 MeV. Poiché il getto, dove la materia si muove quasi alla velocità della luce, punta verso di noi, questa emissione viene spinta verso energie più elevate». 

«Questa straordinaria scoperta, guidata da giovani ricercatrici e ricercatori che ha coinvolto molti dottorandi, dimostra come le osservazioni dei GRB a cinquant’anni dalla loro scoperta continuano a stupirci svelando la fisica che governa questi eventi, tra i più energetici e misteriosi dell’Universo», commenta Marica Branchesi, professoressa al GSSI, associata all’INFN e anche lei firmataria dell’articolo. «Ha messo inoltre in evidenza la grande importanza dei satelliti per lo studio dei fenomeni celesti di alta energia, che saranno essenziali anche in futuro perché saranno strumenti unici, i soli in grado di rivelare le controparti elettromagnetiche di sorgenti di onde gravitazionali a grande distanza osservate dall'Einstein Telescope».