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In Abruzzo una famiglia su 10 non
raggiunge il tenore di vita medio. Nel 2024, secondo l'analisi
di Abruzzo Openpolis, l'osservatorio sulla regione elaborato su
dati Istat, la quota di nuclei in povertà relativa è stata del
10,1 per cento, leggermente al di sotto della media nazionale,
pari al 10,9 per cento, ma in un contesto che resta critico per
il Mezzogiorno. La povertà relativa misura la capacità di spesa
delle famiglie rispetto al resto della popolazione.
Riguarda i nuclei che non riescono a mantenere un tenore di
vita in linea con quello medio della comunità in cui vivono. Non
sempre coincide con la povertà assoluta, ma segnala comunque una
permanenza sotto la soglia ordinaria di benessere, con effetti
sulle opportunità educative, lavorative e sociali.
Nel 2024 le famiglie italiane in povertà relativa sono circa
2,8 milioni, pari al 10,9 per cento del totale. Il divario
territoriale resta marcato: nel Sud l'incidenza arriva al 20 per
cento, contro il 6,6 del Nord e il 6,5 del Centro. In questo
quadro l'Abruzzo è l'unica regione del Meridione con un dato
inferiore alla media italiana, anche se lo scarto è ridotto e
non sufficiente a parlare di reale inversione di tendenza. Per
leggere meglio le fragilità, Abruzzo Openpolis richiama anche
l'indicatore delle famiglie monoreddito con almeno un figlio
sotto i sei anni, calcolato per il 2020, primo anno della
pandemia.
In Abruzzo sono 12 i comuni in cui la quota di queste
famiglie raggiunge o supera il 30 per cento: il valore più alto
è quello di Luco dei Marsi (37,6 per cento), in provincia
dell'Aquila, seguito da Collecorvino (34,5) e Corropoli (34,1).
All'estremo opposto si collocano Castel di Sangro (13,8),
Tagliacozzo (14,8) e Tortoreto (15,6). Tutti e quattro i
capoluoghi di provincia rientrano tra i comuni con le incidenze
più basse: Chieti si ferma al 16,5 per cento, Pescara al 17,2,
Teramo al 19,1 e L'Aquila al 19,6, a conferma di una fragilità
che tende a concentrarsi soprattutto nei centri minori.