Il trasferimento del distretto provinciale dell’Arpa di Teramo da piazza Martiri Pennesi alla nuova sede di Sant’Atto non è più una questione opinabile. È un fatto, ed è soprattutto una scelta irreversibile. Lo ha chiarito con fermezza il direttore generale Maurizio Dionisio che non lascia spazio a interpretazioni ambigue: si tratta di una decisione tecnica, razionale, ponderata, presa nell'interesse dell’efficienza, della sicurezza e della sostenibilità economica dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale.
Non si tratta di uno sfratto, né di una “fuga in avanti”, come qualcuno ha voluto insinuare. Le attuali condizioni della sede storica – impianti vetusti, canalizzazioni obsolete, strutture non più idonee – non sono più compatibili con le delicate attività laboratoristiche svolte dall’Arpa. Nonostante negli anni si sia continuato a lavorare in situazioni precarie, oggi – con l’apertura della ricostruzione post-sisma e risorse pubbliche finalmente disponibili – sarebbe irresponsabile non cogliere l’occasione di un rilancio strutturale e funzionale.
Dati alla mano, l’investimento per il trasferimento è già in larga parte effettuato: oltre 500mila euro spesi, l’80% delle attrezzature già spostate, sette cappe chimiche su dieci pronte per la reinstallazione. Una marcia indietro non solo costituirebbe un danno erariale, ma metterebbe a rischio un finanziamento strategico da 6,7 milioni di euro destinato alla rinascita del comparto scientifico e ambientale. Il prezzo da pagare per tornare indietro? Circa 700mila euro di costi aggiuntivi, tra penali, smontaggi, impianti da rifare. Uno spreco che l’opinione pubblica e i cittadini non possono né devono accettare.
Sul fronte interno, Dionisio non nasconde una certa amarezza per le resistenze di una minoranza che, a suo dire, continua a ostacolare il processo. Ma riconosce, con apprezzamento, il senso di responsabilità dimostrato dalla grande maggioranza del personale, impegnato nella complessa operazione logistica.
Sotto la superficie di una vicenda apparentemente tecnica, emerge in realtà un nodo tutto politico e culturale: la capacità (o l’incapacità) di questo Paese di credere nella propria modernizzazione, di agire nel segno della responsabilità pubblica, di investire sul proprio patrimonio scientifico e ambientale senza piegarsi a logiche localistiche o personali.
L’Arpa Abruzzo, come ricordato dal suo direttore generale, è un ente pubblico autonomo. Non può e non deve subire pressioni né ingerenze esterne quando si tratta di scelte strategiche. Pretendere trasparenza e rigore, sì. Ma confondere il controllo con l’ostruzionismo, l’interesse pubblico con la nostalgia delle vecchie sedi, rischia di essere dannoso tanto quanto irresponsabile.
Nel pieno rispetto del confronto democratico, è tempo di lasciare spazio ai fatti, ai numeri, alla realtà. E la realtà – oggi più che mai – parla chiaro: il futuro dell’Arpa Teramo passa da Sant’Atto.